Ritornerai a Isfahan
Marzo 2019
pp. 304
ISBN 978-88-96908-12-9
€ 16,00
Traduzione dal persiano di Giacomo Longhi
Shamim Shamse, affermato professore di letteratura persiana dell’Università di Tehran, si sta affacciando alla soglia dei quarant’anni quando il passato riemerge con prepotenza nella sua vita. Una studentessa polacca, Eliza, si presenta nel suo studio senza preavviso dicendo di essere la figlia di Adri, la ragazza che Shamim aveva amato da giovane e che gli aveva spezzato il cuore con una partenza tanto inspiegabile quanto definitiva. Adesso, ventitré anni dopo, Eliza è arrivata da Varsavia carica di notizie e determinata a far luce sul vissuto di sua madre e della nonna, Barbara, che durante la Seconda guerra mondiale aveva trovato rifugio nella città di Isfahan dopo essere approdata in Iran insieme ad altre migliaia di profughi polacchi reduci dai gulag sovietici.
Nonostante la moglie e la figlia insistano per lasciare il paese, sempre più in balia del tumultuoso clima elettorale del 2009, Shamim decide di rimanere. Incoraggiato dall’inseparabile amico d’infanzia, Taher, accetta di aiutare Eliza nelle sue ricerche, anche nella speranza di dare finalmente un senso all’abisso di domande che Adri aveva lasciato dietro di sé.
Ritornerai a Isfahan è un viaggio che ripercorre settant’anni di storia facendoci riscoprire una pagina comune tra l’Iran e l’Europa, a memoria di quando le rotte migratorie erano invertite rispetto al presente. Ma è soprattutto un commovente racconto sull’affetto come sentimento che travalica i legami di sangue e sulla tremenda capacità delle passioni umane di resistere allo scorrere del tempo.
Un intenso romanzo che riporta alla luce il dramma dimenticato dei profughi polacchi che raggiunsero l’Iran durante la Seconda guerra mondiale. L’autore intreccia mirabilmente eventi di ieri e di oggi per restituirci un’immagine viva e inedita del suo paese, una terra dove il tumulto della storia non ha prodotto soltanto rivoluzioni, ma ha fatto scaturire anche amori travolgenti e indelebili.
Era vero, Adri era andata via. Si era portata tutti i vestiti, erano rimasti solo un paio di collant sopra il divano e la spazzola che era caduta ai piedi del letto. Era partita senza lasciare niente, tranne il vago ricordo di dita roventi che slacciano delicate i freddi bottoni di metallo, delle guance vellutate che arrossiscono di vergogna, del sapore di dentifricio alla menta, di quando erano avvolti come rami di vite, della scura chioma aggrovigliata ai vestiti. Ha preso la spazzola e l’ha guardata. Adri era andata via senza lasciare altro che qualche capello impigliato.