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I fichi rossi di Mazar-e Sharif
Una raccolta di racconti che sintetizza la cronaca di un conflitto interminabile che non ha risparmiato nessun angolo dell’Afghanistan. Mohammad Hossein Mohammadi racconta con una scrittura semplice e intensa l’orrore che la guerra ha portato fin dentro il cuore delle relazioni umane più intime degli afgani.
Cronaca di un conflitto interminabile, i quattordici racconti de I fichi rossi di Mazar-e Sharif si trasformano, grazie alla scrittura lucida, elegante ed intensa di Mohammad Hossein Mohammadi, in una sinfonia di voci e di sentimenti sulle variazioni della guerra, la morte, l’amore, la nostalgia per un Afghanistan perduto.
La dolcezza del passato e l’orrore di un lungo presente, simboleggiati dall’albero di fichi del titolo che in un giardino di Mazar-e Sharif una bambina fruga alla ricerca di un frutto maturo, mentre il rombo degli aerei preannuncia morte e terrore, sono narrati attraverso una sapiente miscela di fantasia e realtà. Mohammadi, uno dei protagonisti della società civile di un Paese che cerca disperatamente di ritrovare una propria strada verso la normalità, ha scelto di far parlare tutti i protagonisti della tragedia corale nella quale l’insensatezza della guerra ha gettato l’Afghanistan: contadini uccisi mentre si apprestano a raccogliere il grano nell’intervallo tra una battaglia e l’altra; bambini che la guerra ha reso orfani, mutilati, segnati a fuoco dall’orrore senza fine degli adulti; madri di famiglia costrette a prostituirsi nonostante l’incubo della lapidazione; giovani fanciulle concupite come bottino di guerra; uomini normali che la guerra trasforma in mostri irsuti e insensibili; combattenti che scoprono le loro debolezze di uomini; difensori della libertà che dimenticano il rispetto di valori che neanche la guerra dovrebbe calpestare. Mohammadi riserva ad ognuno di essi, anche a quei talebani esecrati dall’Occidente e temuti in Afghanistan, uno sguardo che scandaglia i loro sentimenti più profondi, e un posto nella Storia che la cronaca giornalistica ha spesso loro negato.
La dolcezza del passato e l’orrore di un lungo presente, simboleggiati dall’albero di fichi del titolo che in un giardino di Mazar-e Sharif una bambina fruga alla ricerca di un frutto maturo, mentre il rombo degli aerei preannuncia morte e terrore, sono narrati attraverso una sapiente miscela di fantasia e realtà. Mohammadi, uno dei protagonisti della società civile di un Paese che cerca disperatamente di ritrovare una propria strada verso la normalità, ha scelto di far parlare tutti i protagonisti della tragedia corale nella quale l’insensatezza della guerra ha gettato l’Afghanistan: contadini uccisi mentre si apprestano a raccogliere il grano nell’intervallo tra una battaglia e l’altra; bambini che la guerra ha reso orfani, mutilati, segnati a fuoco dall’orrore senza fine degli adulti; madri di famiglia costrette a prostituirsi nonostante l’incubo della lapidazione; giovani fanciulle concupite come bottino di guerra; uomini normali che la guerra trasforma in mostri irsuti e insensibili; combattenti che scoprono le loro debolezze di uomini; difensori della libertà che dimenticano il rispetto di valori che neanche la guerra dovrebbe calpestare. Mohammadi riserva ad ognuno di essi, anche a quei talebani esecrati dall’Occidente e temuti in Afghanistan, uno sguardo che scandaglia i loro sentimenti più profondi, e un posto nella Storia che la cronaca giornalistica ha spesso loro negato.